“Luci allo xeno” è una canzone che parla di di un percorso interiore, iniziato con la sensazione di aver perso se stessi a causa di una crisi personale e forse anche all’insorgenza di sintomi ansiosi e depressivi. Il brano si focalizza però sulla rinascita, quella che si prova quando si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel.
«È un pezzo che parla di voler tornare alla luce dopo un periodo buio. Mi auguro che le persone che lo ascoltano abbiano lo stesso effetto che ho avuto io facendolo, e quindi che in qualche modo gli possa dare un po’ di luce e un po’ di gioia».
Sangiovanni, Witty TV su TikTok
La rinascita non è tutta rose è fiori: si tratta di uno step verso la direzione giusta, verso il primo raggio di sole all’alba, dopo un lungo viaggio iniziato durante una lunga notte senza sogni.
La metafora nel brano è quella di una corsa in auto durante la notte, utilizzando i fari allo xeno che, sebbene proiettino una luce fredda, si adattano in base alla strada, alle condizioni atmosferiche e altri fattori. Il cantante decide di intraprendere questo viaggio come reazione al proprio buio interiore. Protetto dalla luce dei fari, avanza nelle tenebre per cercare un raggio di speranza, trovando infine l’alba ad aspettarlo.
Com’è nato il brano
Sangiovanni ha scritto questo pezzo dopo essersi preso un anno di pausa dal panorama musicale, dopo Sanremo 2024. Aveva infatti scritto sui social:
«Grazie a quest’esperienza ho capito che essere se stessi e dire la verità è importante, bisogna accettare quello che si è.
A scanso di equivoci classici da web, non faccio questo discorso ora per via di un posto in classifica, anche il Sanremo precedente l’ho vissuto con lo stesso disagio, ma non riesco più a fingere che vada tutto bene e che sia felice di quello che sto facendo.
A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi e sono qui per condividere con voi che ho deciso di farlo. […] Ho ricevuto tantissimo sostegno che non mi aspettavo e tantissima comprensione che per me in questo momento rappresentano la cosa più importante, anche perché mi sembra di sentire che quello che vivo io tocca tante persone e mi fa sentire meno solo. Davvero grazie.
Voglio precisare che non sto mollando, credo tanto nella mia musica e in questo progetto ma allo stesso tempo non ho le energie fisiche e mentali in questo momento per portarlo avanti. Non ve lo meritate voi, e non se lo merita il mio team (che per altro ringrazio per la vicinanza). Boglio stare bene per condurre al meglio la musica vista come “lavoro”. Continuerò a scrivere e a stare in studio perché fa parte del mio benessere e nel mentre inizierò a dedicare il tempo a me stesso per migliorare questa condizione. so che mi aiuterà e che tornerò presto, anche più forte di prima.
Vi voglio bene».
Sangiovanni, post su Instagram (15 febbraio 2024)
Il cantante, nel far conoscere il suo nuovo singolo “Luci allo xeno”, ha messo a nudo le proprie vulnerabilità, ma anche una rinnovata maturità riguardo il sensibile argomento della salute mentale.
Sangiovanni non ha speso parole soltanto sulla propria situazione personale, ma ha voluto esprimersi anche esortando ad avere tatto nei confronti di tutti coloro che passano dei momenti difficili:
«Mi hanno aiutato la musica, la terapia. Continuo ancora a farla, conoscere sé stessi è importante. L’importante è anche avere sensibilità, l’empatia nei confronti degli altri. Impariamo tutti a essere più sensibili».
Sangiovanni, La Repubblica (a “Che tempo che fa”)
Spiegazione dei versi
È da un po’
che non vedo tutto in bianco e nero
Forse la tequila che ho bevuto a sorsi
mi ha fatto ritornare azzurri questi occhi
La canzone si apre con un’immagine che lascia subito intendere un cambiamento emotivo: l’artista, che da tempo sembrava vedere tutto in “bianco e nero”, ora riesce finalmente a percepire qualche sfumatura in più.
Questa visione spenta, quasi anestetizzata, lascia spazio a qualcosa di più vivo, forse per merito di un momento di sbandamento, rappresentato dalla tequila. È come se, proprio mentre cerca di stordirsi, qualcosa dentro di lui si risvegliasse: lo sguardo ritorna “azzurro”, come se per un attimo riuscisse a vedere la realtà con occhi più limpidi, più sereni.
Lo stesso copione
Mesi di hangover
Sempre l’errore di
bruciare gli eroi
In ciò che non vuoi
sentire, non dire
In questa parte del brano, Sangiovanni descrive una sensazione di stanchezza esistenziale, fatta di abitudini che si ripetono sempre uguali e di sbornie che sembrano non finire mai. Parla di un “copione”, come se la sua vita seguisse uno schema già scritto, che si ripete senza possibilità di cambiamento.
Gli “hangover” non sono solo postumi fisici, ma anche emotivi: segnali di un malessere che ritorna ciclicamente.
Quando dice di “bruciare gli eroi”, sembra riferirsi a quel momento in cui perdi fiducia nei tuoi punti di riferimento (siano essi persone, valori o sogni) e li distruggi quasi per autodifesa. È una perdita di illusioni, di ideali.
Tutto si chiude con un silenzio pesante, con quelle verità che si preferisce non affrontare, perché troppo dolorose da dire ad alta voce.
E dopo questa notte insonne
Non ritornerà mai la calma
Per questo sono uscito per strada a vedere i colori dell’alba
E non potevo più rimanere rinchiuso dentro la mia stanza
Quando parla della notte insonne, Sangiovanni non descrive solo una difficoltà nel dormire: sta raccontando un’agitazione interiore che non dà tregua.
Ed è proprio da questa inquietudine che nasce il bisogno di uscire di casa, di allontanarsi da quella stanza che è diventata quasi una prigione mentale.
Andare in strada a vedere l’alba non è solo un gesto fisico: è un modo per cercare aria, colori, vita, dopo l’oscurità. È il tentativo di rompere la chiusura e andare incontro a qualcosa di più grande, forse anche di più vero.
Non c’è niente da perdere
Non sono io il colpevole
Quando afferma di non essere lui il colpevole, Sangiovanni sembra voler mettere in chiaro una cosa: quello che sta vivendo non è tutto sulle sue spalle. C’è un rifiuto, silenzioso ma deciso, di prendersi addosso ogni responsabilità per il dolore, l’ansia, il disagio.
Non si tratta solo di autoassolversi, ma piuttosto di affermare che le cose sono più complesse di come sembrano, che dietro al malessere ci sono molte sfumature — e che non sempre è giusto puntare il dito contro se stessi.
Accendo luci allo xeno
Non ho il pedale del freno
Mi piace solo se è vero
Sono vestito di nero
Sotto le luci allo xeno
In questo inutile show
Il ritornello è una sequenza di immagini potenti e contrastanti, a cominciare dalle “luci allo xeno”, che evocano un’illuminazione fredda, artificiale, quasi accecante. Sono le luci che trovi sulle auto, nei locali, nei set: simboli di esposizione, di visibilità forzata. Poi c’è la mancanza del freno, che suggerisce una corsa inarrestabile, una vita vissuta tutta d’un fiato, senza controllo.
A questa frenesia si contrappone un bisogno forte di autenticità: “mi piace solo se è vero” è una dichiarazione che suona come un rifiuto netto delle maschere, dei rapporti falsi, delle finzioni.
Il fatto di essere “vestito di nero” aggiunge un tono cupo, ma anche una forma di difesa: il nero può essere uno scudo, un modo per proteggersi. E tutto avviene “sotto le luci allo xeno”, in quello che lui definisce un “inutile show”, come a dire che tutto ciò che lo circonda (l’apparenza, la recita sociale, magari anche il mondo dello spettacolo) è vuoto, privo di senso.
Sto ancora in para
C’è una tensione che si taglia con una lama
La gente dice “tutto passa”
Però si accorcia la distanza tra me e l’ansia
Questa strofa si apre infine con una serie di parole spezzate, balbettate, che rendono subito l’idea di un malessere difficile da controllare. È come se la voce si inceppasse per l’ansia, per la tensione che si respira nell’aria, così forte da sembrare tagliente. L’immagine è quasi fisica, concreta: un ambiente così carico da essere insostenibile.
E poi arriva quella frase che tutti ci siamo sentiti dire almeno una volta: “tutto passa”, ma che qui suona vuota, quasi irritante. Perché mentre gli altri cercano di rassicurarlo con frasi fatte, Sangiovanni sente che l’ansia è lì, sempre più vicina, sempre più reale. Le ripetizioni nel testo sembrano amplificare questo senso di oppressione: una spirale che avvolge, che stringe, che rende difficile respirare.