Volevo essere un duro – Lucio Corsi: significato canzone

“Volevo essere un duro” è il brano con cui Lucio Corsi ha esordito a Sanremo 2025, portando sul palco un racconto agrodolce sull’identità e sull’accettazione di sé.

Il brano gli è valso il secondo posto al Festival, e il quinto all’Eurovision 2025.

Il brano racconta quel momento in cui ti rendi conto che non diventerai mai davvero ciò che sognavi da ragazzino e che forse, in fondo, non sarebbe nemmeno così bello diventarlo. Crescendo, capisci che quel modello ideale, tutto forza e impermeabilità emotiva, è più una maschera che un traguardo.

Viviamo in un mondo che ci vuole invincibili, perfetti, forti come rocce. Ma la verità è che siamo molto più fragili e instabili. E va bene così: forse non serve combattere questa instabilità.

«”Volevo essere un duro” parla del fatto che spesso non si riesce a diventare ciò che si sognava essere e che spesso di sogna qualcosa che in realtà non è tanto meglio di ciò che siamo già. Questo mondo ci vuole indistruttibili, inscalfibili, perfetti e solidi come le pietre ma noi siamo molto più in bilico. L’equilibrio è precario, bisogna solo accettarlo».

Lucio Corsi, Vanity Fair


Il videoclip

Il videoclip, in questo senso, è una perfetta trasposizione visiva del messaggio: un ragazzino viene mandato a letto senza cena dai genitori, dopo una brutta pagella. Si chiude nella sua stanza, isolandosi dal mondo, e lì trova conforto nella musica di Lucio Corsi. Il cantante gli appare realmente, come un alleato immaginario ma potentissimo, capace di capirlo. I genitori, spaventati da tutto quel rumore e da quel rifiuto, chiamano addirittura un prete per esorcizzare la situazione. Il momento più emblematico arriva quando entrambi – genitori da un lato, figlio e Lucio dall’altro – impugnano un crocifisso per scacciare il “male”: ognuno convinto che l’altro rappresenti il pericolo. Nessuno dei due lo è davvero. Sono semplicemente mondi diversi che non riescono a comunicare, ma che condividono la stessa necessità: farsi capire.


Spiegazione dei versi

Volevo essere un duro
Che non gli importa del futuro
Un robot, un lottatore di sumo
Uno spaccino in fuga da un cane lupo
Alla stazione di Bolo’
Una gallina dalle uova d’oro

Il cantante elenca una serie di figure che rappresentano la durezza, il potere, la supremazia. L’idea è quella di trovarsi dall’altro lato della barricata: non tra i “buoni” o i deboli, ma tra coloro che incutono timore, che vincono sempre, spesso con mezzi non etici.

Il robot è immune ai sentimenti, il lottatore di sumo travolge tutto, lo spacciatore riesce sempre a scappare, e la gallina dalle uova d’oro rappresenta il privilegio economico, il potere dato dal denaro.

Però non sono nessuno
Non sono nato con la faccia da duro
Ho anche paura del buio
Se faccio a botte le prendo
Così mi truccano gli occhi di nero

L’artista prende consapevolezza del proprio posto nel mondo, ammettendo di non essere nessuno di importante o intimidatorio. Non ha un volto da “duro”, non incute timore né con l’aspetto né con il carattere. È una persona che ha paura del buio, che perde nelle risse, che si ferisce facilmente.

L’immagine degli occhi truccati di nero è potente: simboleggia le conseguenze fisiche delle proprie debolezze (occhi neri per i pugni ricevuti), ma anche un tentativo quasi teatrale di mascherare queste stesse fragilità, come se si mettesse in scena il ruolo del “picchiato”, del “sensibile”, consapevole di essere fuori posto in un mondo che premia i forti.

Ma non ho mai perso tempo
È lui che mi ha lasciato indietro

Qui Lucio ribalta la prospettiva con un verso semplice ma spiazzante: non è stato lui a sprecare tempo, ma è stato il tempo a tradirlo, a lasciarlo indietro.

Non sempre si arriva dove si sperava non per mancanza di volontà, ma perché la vita prende altre strade. E il tempo, anziché alleato, diventa giudice silenzioso che condanna senza spiegazioni.

Vivere la vita
È un gioco da ragazzi
Me lo diceva mamma ed io
Cadevo giù dagli alberi

Il cantante riprende una frase ricorrente da parte della madre: “vivere è un gioco da ragazzi”, che suona rassicurante ma, nella realtà del cantante bambino, risulta quasi beffarda. Mentre gli adulti parlano con leggerezza, lui si sente inadeguato, cade dagli alberi, metafora della difficoltà nel crescere e nel restare in equilibrio.

Il mondo esterno sembra non accorgersi delle sue fatiche, come spesso accade a chi nasconde le proprie fragilità dietro al silenzio.

Quanto è duro il mondo
Per quelli normali
Che hanno poco amore intorno
O troppo sole negli occhiali

Questa strofa riflette su chi viene considerato “normale”, ovvero privo di quella sensibilità che rende la vita più complicata ma anche più profonda. Chi ha poco amore attorno o chi si protegge dal “sole” (simbolo di luce, di calore, di verità) rischia di diventare freddo, disconnesso.

L’immagine del sole negli occhiali racconta di chi preferisce filtrare la realtà, schermarsi, per paura di essere ferito.

Volevo essere un duro
Che non gli importa del futuro, no
Un robot, medaglia d’oro di sputo
Lo scippatore che t’aspetta nel buio
Il re di Porta Portese
La gazza ladra che ti ruba la fede

Lucio Corsi continua a elencare i modelli distorti che, per un attimo, avrebbe voluto incarnare. Figure ruvide, marginali, trasgressive: il robot che non prova emozioni, lo scippatore, il ladro. Sono simboli di chi vive al di fuori delle regole e sembra possedere un potere che l’artista sente di non avere. Eppure, questi “duri” sono spesso anche i simboli di un mondo cinico, dove il rispetto viene conquistato con la forza o l’arroganza.

Volevo essere un duro
Però non sono nessuno
Cintura bianca di judo
Invece che una stella, uno starnuto

Ancora una volta il confronto con sé stesso è ironico e autoironico. La cintura bianca (che, in realtà, nemmeno esistente nel judo) rappresenta il livello più basso possibile, mentre lo “starnuto” in contrasto con la “stella” sottolinea tutta la distanza tra ciò che avrebbe voluto essere e ciò che invece è: non una figura brillante, ammirata, ma qualcosa di fugace e goffo, quasi invisibile.

I girasoli con gli occhiali mi hanno detto
“Stai attento alla luce”
E che le lune senza buche
Sono fregature
Perché in fondo è inutile fuggire
Dalle tue paure

Qui il testo si apre a suggestioni poetiche e visionarie: i girasoli con gli occhiali da sole sono un’immagine paradossale: proprio loro, simboli di apertura e amore per la luce, si proteggono dal sole. È come se anche ciò che dovrebbe cercare il bello e il positivo, ne fosse spaventato.

Le lune senza buche sono una truffa: le cose perfette non esistono, e diffidarne è un consiglio prezioso. Alla fine, ci dice Lucio, non si può fuggire dalle proprie paure: ci accompagnano ovunque, fanno parte di noi.

Vivere la vita è un gioco da ragazzi
Io, io volevo essere un duro
Però non sono nessuno
Non sono altro che Lucio

Nel finale, l’ammissione più importante: l’artista smette di rincorrere ruoli che non gli appartengono e si riconcilia con la propria identità. Non sarà mai un duro, né una figura temibile o leggendaria.

È semplicemente Lucio, con tutto ciò che comporta essere se stessi: fragili, autentici, imperfetti. E forse, proprio in questa consapevolezza, risiede la sua forza più grande.

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